Manuel Frattini è prematuramente scomparso il 12 ottobre 2019 a soli 54 anni lasciando un vuoto enorme nel panorama artistico italiano. Attore, ballerino e cantante è stato a lungo considerato il più grande e poliedrico talento del musical in Italia. In questo articolo lo vogliamo ricordare pubblicando un’intervista dell’aprile 2008 dove abbiamo avuto l’opportunità di incontrare e conoscere di persona questo straordinario artista durante una delle tappe del musical Peter Pan e che è stata inserita nella tesi di laurea dal titolo Il musical: evoluzione dalle origini ad oggi

Manuel Frattini: intervista ad una stella del musical in Italia

Dopo aver effettuato alcune riflessioni nell’articolo dedicato alla figura dell’interprete nel musical, e dopo aver proposto una visione tecnico-teorica di alcune delle problematiche e delle considerazioni sugli stili e sui metodi di canto, abbiamo ritenuto opportuno presentare una visione più pratica, intervistando uno degli artisti più conosciuti e completi nel panorama del musical italiano, e soprattutto fra i più amati dal pubblico di ogni età: Manuel Frattini.

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Manuel Frattini: biografia (cenni)

Manuel Frattini inizia a farsi notare nel 1991, quando viene chiamato dalla Compagnia della Rancia diretta da Saverio Marconi per il musical A Chorus Line, dove riscuote un immediato, grande successo personale. Si consacra come nuovo talento del musical italiano nella Stagione 1996/1997 interpretando Cantando sotto la pioggia, diretto ancora da Saverio Marconi, con la Compagnia della Rancia. Grazie a quest’interpretazione riceve due importanti riconoscimenti: il “Premio Bob Fosse – Oscar per il Musical” e il “Premio Danza & Danza” come miglior giovane interprete. Inoltre ricordiamo il “Primo premio nazionale Sandro Massimini” (Festival Internazionale dell’Operetta), con la seguente motivazione: “Miglior attore emergente del teatro musicale ed ammirevole esempio di dedizione e impegno professionale, qualità che gli hanno permesso di sviluppare, partendo dalla danza, doti eccezionali di showman fantasioso, versatile e completo“.

La notorietà arriva nel 1999 con il Musical Sette spose per sette fratelli, nel quale interpreta con stile memorabile il ruolo di Gedeone, al fianco di Raffaele Paganini e Tosca. La critica si concentra su di lui, decretando il suo primo, tangibile successo: Manuel Frattini è definito senza riserve “una stella emergente”.

Dal 1999 al 2001 divide il palcoscenico con Christian De Sica, Lorenza Mario, Monica Scattini e Paolo Conticini nel fortunato Musical Tributo a George Gershwin – Un Americano a Parigi, con la regia e le coreografie di Franco Miseria. Da ricordare in questo Show, un numero di tip-tap con l’ausilio di un pianoforte che immancabilmente sorprende ed entusiasma gli spettatori.

Realizza anche un piccolo sogno: debutta come protagonista in un musical inedito, Musical, Maestro!, ideato da lui stesso. Lo spettacolo, parte da uno spunto autobiografico: la storia della formazione e del percorso professionale del protagonista, Manuel. Il racconto di un sogno comune a tanti ragazzi, che con umiltà e grande entusiasmo si preparano per cogliere la loro grande occasione. Lo spettacolo ha vinto il “Premio Vignale Danza 2000”.

È stato il coreografo dei videoclip di Gino Paoli, Gorilla al sole, e King Kong. Nel 2001/2002 è stato protagonista, con Rossana Casale e Carlo Reali, nel Musical La Piccola Bottega degli Orrori della Compagnia della Rancia, regia di Saverio Marconi.

Dal 2002 al 2005 la sua partecipazione, al musical kolossal italiano Pinocchio. Nel 2007 interpreta il ragazzo che non voleva crescere in Peter Pan il Musical! e successivamente è in scena con il musical Robin Hood in tutti i teatri italiani.

Manuel Frattini: intervista di aprile 2008 al Teatro Santa Chiara di Trento

Abbiamo incontrato Manuel Frattini, artista poliedrico, preparato, ricco di talento e di energia, a Trento nella splendida cornice del teatro Santa Chiara in una delle tappe di Peter Pan il Musical!

Manuel Frattini – Nadia Corona

Cosa si prova ad essere ritenuto il rappresentante del genere musical italiano?

Mi fa molto piacere sentirlo dire! È un commento che chiaramente fa molto piacere a chi fa questo lavoro, è lusinghiero, ma non me ne rendo conto. È una bellissima conseguenza di quello che faccio, visto che è da sempre quello che ho voluto fare. Penso sia un po’ per tutti quelli che fanno questo lavoro una mira, ma l’obiettivo principale non è quello di arrivare ad essere come si sostiene; mi fa quasi paura a dirlo. Se poi questo arriva dagli addetti ai lavori, ma soprattutto dal pubblico che io ritengo sia quello che ha le parole più vere e i commenti più sinceri, allora è sicuramente una cosa molto piacevole.

Hai interpretato prima Pinocchio e poi Peter Pan nel genere fantasy. Il rischio era quello che questi due personaggi si assomigliassero essendo tutti e due della stessa età. Caratteri diversi e una storia diversa, però come hai lavorato sul personaggio per differenziarli?

Mi piacerebbe dirti come fanno gli attori…che mi sono calato nel personaggio (ironicamente). Pinocchio mi ha insegnato molto perché era la prima volta che interpretavo un personaggio fantasy come lo hai chiamato tu. Con Pinocchio ad un certo punto però mi sono reso conto che mi ero infilato in un tunnel buio, nel senso che ho cominciato a pensare all’età che poteva avere, all’età scenica, al fatto che fosse un burattino e quindi alla sua fisicità, al muovermi legnoso.

Mi aveva abbastanza complicato l’approccio col personaggio, il pensarci troppo o forse il tentare di caratterizzarlo troppo. E siccome sono uno istintivo ho lasciato che l’istinto prevalesse su tutto questo. Fondamentalmente il lato positivo è che sia Pinocchio sia Peter Pan sono due personaggi che mi assomigliano in qualche modo, anche fisicamente nella loro fisicità…mi assomigliano molto, malgrado io abbia qualche annetto in più di questi personaggi!!

La cosa curiosa è che durante Pinocchio io ho sempre detto che il Peter Pan che era in me aiutava Pinocchio ad uscire, e quindi ho lasciato che questo latente bimbo che ho dentro desse una mano al personaggio Pinocchio. E ora che Pinocchio è a riposare sono faccia a faccia con il Peter Pan che è in me.

Cosa prova questo bimbo latente quando riesce a far alzare tutta la platea e a far dire a gran voce “io credo nelle fate”? (è una delle scene più belle in Peter Pan)

Non ti nascondo che inizialmente ho avuto delle grosse difficoltà, perché era come sfondare la parete. Sono quelle cose che sulle prime ti sembrano da villaggio di animazione.
Poi devo dire che la cosa che mi ha aiutato molto, ed è una delle regole teatrali fondamentali, è che se ci credi tu ti togli qualsiasi tipo di imbarazzo e soprattutto il pubblico non si sente un violentato… anche perché dire “alzati in piedi” alla persona di ottant’anni che è in teatro non è facile. Però quando vedi il nonnino o la nonnina che si alza e urla “io credo nelle fate” è una grande emozione! Quindi inizialmente ho avuto questa sorta d’imbarazzo, era come uscire dallo spettacolo ma dovevo essere io il primo a crederci e ho superato quella sensazione.

Come nasce Manuel la tua passione per il musical?

C’è sempre stata. Io dico sempre che sono cresciuto a pane e Fred Astaire. Chiaramente sono vissuto in Italia, un paese che non ha la tradizione del musical, escludendo la tradizione della commedia musicale con tutto il rispetto.
Il musical è arrivato in Italia attraverso il cinema e quindi i classici, tutto il periodo d’oro, l’epoca di Hollywood anni cinquanta, erano per le mie favole! E mi appassionavo e mi incantavo di più davanti ad un film di Fred Astaire e di Gene Kelly e di fronte a tutta quell’epoca, piuttosto che davanti ad un cartone animato della Walt Disney. È sempre stato quello che avrei voluto fare. Il tip tap è stato il mio primo amore proprio per quanto riguarda la danza. Io vedevo e sentivo il tip tap e mi chiedevo:- come si fa? Voglio riuscire a farlo!

Da lì ho avuto un percorso nella danza. Diciamo che prima nasco come ballerino perché all’epoca della mia formazione non c’era quest’apertura al musical. Quindi ho cominciato da lì e ho avuto un percorso abbastanza insolito: di solito si inizia dalla danza classica e poi si passa a tutti gli altri generi, e io invece ho iniziato col tip tap.

È stato più complicato?

Il tip tap come genere è abbordabile da chiunque secondo me. Infatti molti attori che non hanno una base di danza possono avvicinarsi al genere. Non è stato difficile, ha un altro tipo di difficoltà, ma ti apre l’orecchio musicalmente e sviluppa il senso ritmico. Da lì mi sono reso conto che per fare il professionista dovevo però conoscere anche tutti gli altri generi.

E nel canto chi sono i tuoi modelli?

Non ci sono stati modelli. Per quanto riguarda la danza ho cominciato a studiare ma l’Italia non offriva molte opportunità. Ho avuto la fortuna però di vincere una borsa di studio al CTA (Centro Teatro Attivo) di Milano che, credo, all’epoca fosse una delle uniche scuole con all’interno le tre discipline principali. Per cui un po’ per conto mio, parallelamente alla danza, ho assaggiato qualcosa di canto, qualcosa di recitazione e di dizione, ma è stato tutto molto superficiale.

La scuola vera è stata questa… il palcoscenico! La palestra migliore ma anche la più rischiosa perché poi alla fine la affronti senza un background di quelli solidi, e tutto arriva sul campo.

Come riscaldi la voce, prima di uno spettacolo?

Se chiedi ad uno dei miei colleghi incominciano a ridere, perché sono preso di mira per questo aspetto! (ride) Non lo dico per vanto, ma io non mi scaldo mai! Ma non si deve fare come me! È una pigrizia forse. Parlando di me c’è una sorta di imbarazzo però devo dire che gli approcci con alcune cose sono stati facili. Anche alle lezioni di danza, che prevedono tutto un riscaldamento fisico, io entravo di nascosto quando si cominciava già a ballare perché tutta la parte tecnica la trovavo noiosa e volevo fare… agire! Poi in verità quando sono raffreddato, come in questo momento, un po’ di cose le faccio, soprattutto per la voce anche perché sopportare uno spettacolo di tre ore non sarebbe facile altrimenti.

In effetti lo spettacolo è molto lungo e sei sempre presente sul palco…

Si. Devo dire che però rispetto a Pinocchio, non dico che Peter Pan sia una passeggiata perché direi una stupidaggine, però in Pinocchio ero sempre in scena qui lo spettacolo è abbastanza distribuito tra i ruoli. Non è così stancante fisicamente come poteva esserlo Pinocchio dove, a pesare sulla stanchezza, c’era anche il trucco quotidiano di un’ora…380 e più repliche e alla fine tra trucco e strucco avevo la pelle che rifiutava qualsiasi cosa!

Ho letto che hai detto in un’intervista che “il musical è un genere difficilissimo e tutto va fatto con estremo ordine rigore, severità e passione.” Sono d’accordo con questa affermazione. Però riflettevo sul fatto che oggi molte persone che entrano nel mondo dello spettacolo da qualsiasi porta credono anche di poter accedere al musical senza una preparazione effettiva. Sembra la disciplina di chi si improvvisa molte volte. Cosa ne pensi?

Io sono diventato assolutamente intollerante verso chi si improvvisa. Prima di tutto per un rispetto verso il pubblico che non si deve sottovalutare. Il pubblico non è stupido, è in grado di riconoscere la bravura. Al di là del fatto che possa vedere sul palcoscenico un viso noto o popolare, perché magari arriva dalla tv, alla fine si rende conto se c’è la preparazione negli interpreti. Penso questo perché della mia gavetta non rinnego nulla. Ogni cosa che ho fatto, anche la più stupida, è servita a qualcosa e io sono tra quelli che sostengono che la gavetta è fondamentale, c’è una crescita attraverso la quale si capisce se l’occasione che arriva è la più adatta. Se mi avessero proposto di fare Pinocchio dieci anni fa, forse anzi sicuramente, non sarei stato in grado né di affrontarlo né di renderlo quel personaggio che poi è piaciuto al pubblico.

Ho avuto la fortuna di avere la scuola di musical migliore che ci sia (credo), quella della Compagnia della Rancia che, col tempo, ha perfezionato tutti gli aspetti. La Compagnia stessa all’inizio del suo percorso si è affidata a Baayork Lee, donna americana coreografa detentrice dei diritti di A Chorus Line nel mondo. Baayork Lee va ovunque si metta in scena A Chorus Line per fare le prove ed allestire lo spettacolo col regista. Da lei la Compagnia della Rancia ha imparato un sacco di cose che ha applicato anche negli spettacoli successivi. Ecco perché dico di avere avuto la fortuna di avere un’ottima scuola e, grazie a quella o a causa di quella, ogni tanto mi scontro con le produzioni ma semplicemente per il bene dello spettacolo, non per convinzioni personali.

L’esperienza mi ha insegnato che alcune cose vanno fatte in un certo modo, e quel modo ti garantisce un certo risultato. Il gusto del pubblico è soggettivo, e non è detto che sia la formula per vincere però è partire sempre da una buona base.

Quanto il regista influenza il personaggio? Nel cinema ci sono correzioni continue e fino a quando la scena non è buona non si prosegue. Nel musical tutto scorre come a teatro, quindi quanto va ad influenzare la natura del personaggio?

Con Saverio Marconi ho fatto diversi spettacoli. Ma i registi che ho provato sono stati pochi in realtà oltre a Saverio. Maurizio Colombi in questo caso. Franco Miseria nei due anni di spettacolo con Christian De Sica, anche se non ha svolto propriamente il lavoro di regista. Un Americano A Parigi era un ibrido, non tanto un musical ma un pretesto per un tributo a Gershwin.

Prendo come riferimento sempre la scuola di Saverio Marconi. Lui è uno che va molto per immagini e suggerisce o dà delle indicazioni attraverso metafore. C’è un’indicazione che ricorderò sempre in maniera particolare per Pinocchio. La prima volta che Pinocchio entra in caso di Geppetto, e lo porta dentro, il suggerimento che mi ha fatto accendere una lampadina è stato “Tu sei come quei cagnolini, quei cuccioli che entrano per la prima volta in uno spazio nuovo e vuoi scoprire tutto!” Quindi con quella eccitazione, quella curiosità. Lui è fatto di molti di questi suggerimenti che sono vie per arrivare a quello che vuole. Modi visivi.

Ma poi lascia molto all’interprete e si affida molto anche all’attore stesso. Non è uno che rifiuta dei suggerimenti, anzi è stimolante anche per lui avere un riscontro magari rispetto ad un’indicazione sua o rispetto a quello che tu invece senti di fare in quel momento.

Secondo te in percentuale canto, recitazione e ballo: qual è il mix giusto per un artista di musical, cioè qual è la base da cui partire?

È difficile dirlo. Io, per un gusto personale, sono per il musical e non per l’opera rock, come possono essere Giulietta e Romeo ora, o Notre Dame. Preferisco anche la parte di prosa e nell’opera rock le tre cose sono scollate tra loro: il cantante canta, il balletto balla e non si recita. Ci deve essere un buon equilibrio invece.

Poi ci sono dei titoli che prevedono principalmente la parte vocale, per cui si presuppone che quella sia la tua arma più forte, la disciplina dove riesci meglio, senza però dimenticare che le altre due (ballo e recitazione) sono fondamentali anche se non devi fare una coreografia. La danza ti aiuta anche solo a stare in scena, a muoverti sul palco. È un tipo di educazione preziosissima. Per quanto mi riguarda un giusto equilibrio tra le tre cose non lo saprei quantificare. Mi dispiacerebbe molto farne due e non farne una, sentirei la mancanza di quella. E poi dipende dal tipo di musical.

Anche i provini stessi funzionano in questo modo. L’ordine col quale viene scelto un cast avviene secondo questa importanza: se la vocalità è la parte più importante prima si canta e se si supera la prova di canto allora si passa alla recitazione e alla danza. Ma se ti parlassi di West Side Story o di A Chorus Line, prima si supera il provino di danza e poi vieni valutano nelle altre materie.

Parlando di provini, che consigli puoi dare in merito?

Io insieme alla Compagnia della Rancia ho vissuto tutto il debutto del musical in Italia. Nel 1992 abbiamo debuttato con A Chorus Line. Ricordo com’erano i provini in quel periodo. I registi e i produttori erano un po’ più permissivi nei confronti della gente, se non arrivavi con il monologo ti facevano leggere un articolo di giornale per sentire la dizione o ti chiedevano qualcosa. Se non avevi portato la canzone ti chiedevano di cantare Tanti auguri a te per sentire se eri intonato (ride) Ora non più assolutamente no, grazie a Dio questa cosa è scomparsa.

E di pari si è alzata la qualità degli artisti?

Si. Sono convinto che in Italia ci sia molto talento. È giusto che per ogni produzione il regista abbia un gruppo di persone conosciute di cui si fida, però è bene, e questo lo sostiene anche Saverio, che per ogni situazione si facciano dei nuovi provini perché potresti sempre scoprire la persona nuova, oppure la persona giusta, o non giusta in questo momento ma che ti ricorderai per la successiva occasione. Il consiglio, probabilmente più scontato, è quello di andare preparati al massimo, convinti che la cosa che si porta sia la cosa che valorizza di più la tua persona.

Invece qualche consiglio per cantare ballare e recitare contemporaneamente in scena. (fiato, diaframma, tecnica, etc …)

Tutti i giorni io scopro delle cose. Mi piace spesso confrontarmi con Lena Biolcati, (sua partner in Pinocchio) un’ottima insegnante di canto. Lei arriva ovviamente da tutta una parte tecnica; io arrivo da un percorso più istintivo e dalla palestra che è questa, il palco. Ed è bello scoprire quanto quello che ho scoperto io ha dei fondamenti. È difficile dire cosa è meglio fare.

Quando si guarda indietro alla prima replica, a distanza anche solo di un mese, ci si accorge che c’è tutta un’energia che non sai ancora come gestire. All’inizio la bruci, la butti via, poi chiaramente è facendo che si comprende in che giusta misura usare il fiato, cosa fare.

Non è come nella danza che distendi o pieghi un braccio, il canto è fatto di sensazioni e c’è una maniera per arrivare a fare quello che è dentro di te. La cosa che mi capita molto spesso di fare, per esempio nel pezzo della Fata o in pezzi particolarmente impegnativi, è scaricare. Quando ci si sta stancando, istintivamente verrebbe da respirare di più; al contrario è meglio scaricare il fiato prima di riprendere a muoversi o a fare una nota lunga o un finale.

In effetti non si sente mai la tua fatica, non si percepisce mai un respiro affannato…

Per non dare quella sensazione gestisco talvolta il fiato con una violenza tale rispetto a quello che dovrebbe essere… Quando finisci un pezzo ballato, ci sono mille aspetti da portare avanti, in più in Peter Pan ho un’imbragatura pesante, stretta, che mi impedisce di essere totalmente a mio agio. È faticoso perché oltretutto arriva fino alle spalle, mi schiaccia, non posso alzare le spalle e ho la battuta subito dopo e non posso farla col fiatone, quindi imparo a gestire il fiato.

Come valuti la figura di un coach che segue l’artista, sia da un punto di vista vocale, che fisico che psicologico anche per staccarsi da un personaggio che inevitabilmente ci si porta avanti dopo tante repliche?

La cosa piacevole che ci si costruisce nel tempo, con l’esperienza, è uno staff: un gruppo di lavoro che cerco di portare sempre con me perché sono le persone con le quali ho raggiunto un livello di affiatamento totale. So che mi conoscono per cui anche nel prossimo lavoro di cui vi dirò ho con me queste persone. Una di loro si chiama Giovanni Maria Lori, che oltre ad aver svolto tanti altri lavori, ha arrangiato tutte le canzoni di Pinocchio originariamente scritte dai Pooh. Lui cura sia la parte vocale che l’arrangiamento musicale e vocale. Con uno staff di persone fidate sai che potrai dare sempre il meglio di te. E la stessa cosa vale per le coreografie.

Credo che la figura del coach non possa essere una figura sola. E poi soprattutto è prezioso e fondamentale solo nella parte iniziale nell’allestimento dello spettacolo, nella creazione e costruzione. In fondo ognuna di queste figure è un coach, anche il regista stesso.

Quali saranno le tue sfide future e i personaggi che vorrai interpretare?

La sfida futura sarà Robin Hood. Mi è stato proposto quando non avevo ancora pensato a quel personaggio. Uno degli autori, molto bravo, si chiama Beppe Dati che ha scritto brani per Laura Pausini, Marco Masini, Mia Martini. È considerato nell’ambiente il poeta del 2000 musicalmente, e ha scritto la colonna sonora di Robin Hood. Chiaramente come è stato per i Pooh che non conoscevano le dinamiche di uno spettacolo musicale, a fianco di Beppe Dati lavorerà Giovanni Maria Lori. Serve sempre una persona che faccia da tramite tra un progetto che potrebbe essere discografico e una cosa musicale. La regia è di Christian Ginepro, amico e collega. Era con Michelle Hunziker in Cabaret e ha avuto un successo personale enorme. Da sempre ha quella genialità e quel desiderio di dirigere uno spettacolo e quindi ho pensato che fosse l’occasione per formare un gruppo di lavoro nuovo, giovane, fresco e ricco di stimoli. Da ottobre 2008 partirà questo nuovo progetto.

In quanto tempo si monta uno spettacolo? (lo chiediamo perché l’intervista avviene ad aprile 2008 e ci stupiamo del poco tempo a disposizione tra uno spettacolo e l’altro!)

Di solito quando un copione, le canzoni e il materiale sono pronti, in cinque settimane si monta uno spettacolo. La pre-produzione è lunga però. Bisogna essere molto bravi nel pianificare, non si può perdere tempo, bisogna sapere come distribuire il lavoro in quelle cinque settimane per arrivare a completare tutto al termine della quinta. Poi arriva il termine del debutto e c’è sempre la classica frase “ci vorrebbe ancora una settimana”…in incrociamo le dita!

In bocca al lupo Manuel e grazie per la tua disponibilità!

Grazie a te e in bocca al lupo!

Nel marzo 2020 l’anno successivo alla scomparsa di Manuel è stata fondata in suo onore l’Associazione Culturale Manuel Frattini con lo scopo di promuovere la crescita culturale e artistica di giovani talenti in nome della generosità che ha sempre caratterizzato Manuel Frattini e il suo impegno nel mondo del musical.

Da maggio 2020 il Musical Pinocchio è disponibile anche su Amazon Prime Video.

Il Musical in Italia

Il Musical in Italia: una rinnovata stagione del musical italiano, dagli anni ’70 agli sviluppi degli anni 2000 con l’arrivo della Compagnia de La Rancia e la diffusione culturale del genere musical.